Il Re

Il Re era nelle propria stanza quando arrivò la povera donna. Un umile servo, Ambrogio, le disse che quel giorno non avrebbe ricevuto alcuno, ma che avrebbe comunque provato a parlargli. Ambrogio salì le scale per andare ad avvertire il sovrano. Giunto fuori dalla camera, però, lo sentì ansimare. Stava sul letto a baldacchino a penetrare con foga una schiavetta con un viso inguardabile, ma un fisico spettacolare, agghindato da tette marmoree, un culo sodo che sembrava di gomma, e una fica stretta e paffuta. La faccia era brutta, ma bastava tenerla a pecorina ed ecco che la scopata acquistava una qualità assoluta. Oltretutto, al porco piaceva parecchio quella giovincella perché godeva fragorosamente e gli dava grande soddisfazione. “Sta fornicando di nuovo”, pensò Ambrogio. Il Re era prevedibilissimo: quando diceva che non accettava visite era perché non voleva rotture di palle. La Regina era a spasso fino a sera, e lui approfittava del suo status per impalare tutte le ancelle che gli capitavano. Nel suo immenso giardino e dentro al castello, tolto Ambrogio che pure ne beneficiava, non faceva altro che mettere a lavorare passere di ogni tipo che dovevano sollazzarlo come e quando desiderava. Dopo pochi istanti, il sovrano aggrappato al vestito leggero della schiavetta, decise di cambiare buco per completare l’opera. Glielo piazzò nell’ano e affondando con veemenza la farcì con uno spruzzo copioso. Ambrogio udì la ragazza sgolarsi e lui sbottare in una risata soddisfatta. “Ora puoi andare a lavoro, forza!” le disse bonariamente il padrone. Affermato questo, Ambrogio bussò. “Avanti” fece il Re. Il servo entrò e lo trovò con un sorriso placido. Era di buonumore. “Signore, c’è una donna che gradisce incontrarvi.” “Lo sai che oggi non c’è la Regina e non voglio comunicare con nessuno.” “Sì, avete ragione” assentì Ambrogio, che stava per togliere il disturbo. Il Re lo fermò e gli chiese: “Aspetta, non andare. Com’è questa donna che vuole parlarmi?” “Ha la pelle chiara, la vita stretta e il culo largo. Ha il seno prorompente e le labbra carnose.” “Se è come dichiari, portala qui.” Ambrogio corse al piano terra per avvertire la povera contadina. La accompagnò su per le scale e si fermarono entrambi sull’uscio perché si sentiva rumoreggiare un’altra volta. Ambrogio bussò. Sua Maestà ordinò di entrare. Ambrogio, titubante, introdusse la donna nella camera da letto dove trovò il sovrano con il membro nella bocca fradicia e sbrodolata di un’ancella nuda, a parte un prezioso corpetto. Il Re fece un cenno per far parlare la sconosciuta che, intimidita, spiegò il motivo della sua visita: “Sire, nelle campagne c’è una forte siccità. Le famiglie muoiono di fame”. “Capisco. Se tu me lo succhi come si deve, la tua famiglia non morirà.” La donna, senza dire niente, si denudò. Aveva la fica nera, incolta e splendida. “Ambrogio, inizia tu a scoparla, per favore.” Il servo eseguì. La leccò un pochino per prepararla. Puzzava di sudore e di pipì. Tirò fuori l’uccello e la sbatté su un divano, poi il Re disse: “Adesso montati l’ancella e io mi prendo lei, grazie”. Il Re la fa inginocchiare e le palpa il grosso seno mentre lei gli ciuccia il cazzo e se lo strofina sulle mammelle. Intanto, Ambrogio ringhia ed eiacula sul corpetto. Sua Maestà, eccitato dalla spagnola e dalla scena del servo, inizia a sbraitare. Grida strusciando il cazzo tra le tette della donna che gli tiene il glande in bocca, fino a sborrarle tra le fauci.

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