Il taglio dell’albero

Guardo il camion. È blu e lungo. Ha un rimorchio attaccato. Divertente, non ha tanto l’aspetto di un mezzo di trasporto, ma lo è. Un piccolo singhiozzo mi sfugge e mi copre la bocca; trattengo il respiro e guardo dalla finestra. Un ragazzo alto esce, gli stivali sono di colore bianco sporchi di fango secco. Il suo collo ha segni di bruciatura causati dal sole. La situazione non è delle migliori, è stato appena coinvolto in un incidente stradale. L’uomo indicuna un logo sulla sua camicia blu brillante e comincia a parlare con qualcuno. Il mio stomaco sembra chiudersi con molti nodi e comincio a tremare. Preferirei non essere coinvolta, ma una parte di me deve testimoniare. Sono terrorizzata ed ho mal di stomaco. Il ragazzo sta ancora parlando e agitando le braccia. Ma poi l’altra porta del camion oscilla largo. Il sole riflette contro il vetro formando un arco bianco tagliente e solo per un attimo mi acceca. E poi c’è lui. Alto, una mascella forte e gli occhiali da sole che non passano inosservati. I pantaloni sembrano essere appesi sui fianchi sottili e gli stivali sono ancora più fangosi di quelli del suo collega. Si mette le mani sui fianchi e comincia le indagini. Il mio polso si fa sempre più forte e mi sento calda. Il mio corpo mi sta dando molti segnali che trovo questo uomo attraente. Cerco di ignorare il mio corpo zelante, ma non riesco del tutto. Mi sposto di nuovo da un piede all’altro. Le infradito rendono comoda ogni posizione. Mi agito come devo fare pipì, ma è un incrocio bizzarro di nervoso ed eccitazione. Trattengo il respiro. Ma che cazzo? Voglio che iniziano subito a tagliare e sdradicare l’albero giù prima che cambi idea. O aspettano che si stacchi un altro ramo per ferire qualcuno? E questa volta potrebbe uccidere una persona o colpire una macchina invece di schiacciare la mia bicicletta nel vialetto. L’albero è un pericolo. Deve essere rimosso. Quindi, perché non si sbrigano? Quando suona il campanello, un piccolo singhiozzo scivola fuori dalla mia gola. Mi schiarisco la gola. Era il giardiniere. Rispondo in modo seccato con una voce roca che mai avevo avuto. “Stai piangendo?” Lui sorride, aggrotta la fronte, si muove in avanti. “Che cosa? No. Ho solo. Sì. Un po’. Sono caduta, ma Sto bene. Che cosa vuole?”. Mi sento come se stessi praticamente urlando l’ultima parte. Sbatte le palpebre verso di me, il suo volto si blocca in una espressione, “l’albero. Non può venire giù oggi”. “Deve! E’ caduto un intero ramo l’altro giorno per nessun motivo. Uno grande! Potrebbe uccidere qualcuno!”. La mia voce sta salendo anche perchè una parte di me è eccitata. “Inoltre, il vostro capo ha detto che aveva i segni di un albero malato. Lui ha detto che doveva venire giù!”. “Tutto bene, signora?” “Il mio nome è Carolina”. Spiega che “…il camion è troppo piccolo ed il mio capo non ha portato la sua macchina fotografica, e non ha potuto inviarmi una foto dell’albero. Avrei portato il camion più grande, se avessi visto la foto. Dovrò uscire domani con un camion più grande. Forse due. Mi sento un filo di lacrima sul mio viso. Si gira pulendo la lacrima con un pollice calloso. “Stai piangendo”. “Mi dispiace”. Si lecca la lacrima dal suo dito e poi si rende conto che lo sto guardando. Sono scioccata, eccitata e completamente stordita. Lui alza le spalle. “Va tutto bene. La gente si affeziona ai propri alberi. Andrà tutto bene. Torneremo domani a finire il lavoro. E’ un albero di legno dolce, si taglia facilmente”. Un piccolo guaito sorpreso mi sfugge e lui ha la buona creanza di sorridere e guardare imbarazzato. “Ci vediamo domani”, la sua pronta risposta. “Il mio respiro è appena un sussurro e gli sbatto la porta in faccia. Fargli pensare che mi ha offeso. Lascialo in imbarazzo. Menbtra parlava la mia mente balenò a una vivida immagine di me in ginocchio, impegnata a succhiare il suo cazzo, mentre le sue mani lasciano aloni di sporco sulla mia pelle mentre mi teneva ai fianchi in modo che non potevo scappare. Cazzo, me lo immaginavo che mi scopava il culo e la figa, da dietro. Lo sento lasciare il mio portico e mi sdraio sul pavimento di piastrelle freddo per potermi toccare e masturbare tranquillamente. Mi metto le mani miei pantaloni di yoga e mi infilo un dito nella figa, raggiungendo non uno ma tre orgasmi veloci, la sensazione del suo pollice sulla mia faccia mi provoca emozione come le dita nella mia fica. Fortunatamente i nervi hanno avuto la meglio su di me e mi convinco che sarà l’ultima volta che penso a Pietro con il volto gentile e il pollice calloso. La mia pancia brontola come se avessi un appuntamento galante. Nella mia mente sporca ho un appuntamento con Pietro e il suo cazzo. La mia lingua vorrebbe visitare la sua erezione e la mia figa prenderlo duro e velocemente, fino a sentirmi aprire in due. Scuoto la testa e noto due camion rossi manovrare nel mio vialetto con i loro rimorchi. Sto trattenendo il respiro perché starei male se Pietro oggi non fosse venuto ed avesse mandato un altro operaio. E se questo fosse un altro equipaggio? Sicuramente ogni operaio non ha un posto fisso, va a lavorare dove l’azienda lo manda. Il suo volto è proprio lì alla mia finestra e lanciò un urlo come fossimo in un una giungla. Sento la sua risata e vedo che ha gli occhi marroni. Penso che non ho visto i suoi occhi il giorno prima. “Ciao a tutti, Pietro!”, lo saluto insieme agli altri operai, invitandolo ad entrare in casa. Entra. “Abbiamo alcune pratiche burocratiche per autorizzarci al taglio della pianta ed al suo trasferimento in discarica. Ho preparato tutta la documentazione con il proprietario del vivaio, l’altro giorno”. Sta guardando la mia bocca!! Sta guardando la mia bocca così intensamente che sento la mia figa bagnarsi. I suoi occhi sembrano ipnotizzarmi. “Titolare?” “L’uomo che le ha dato il preventivo di spesa, il signore venuto giorni fa a casa sua”. “Vuoi dire lo stimatore?” Lui ride ed io sento scosse lungo le terminazioni nervose della mia spina dorsale. Il calore della sua risata scivola sotto i miei capelli e lungo il mio scalpo. Ho la pelle d’oca mentre lo guardo parlare e mi faccio trapanare dalle sue parole. “Oh. Sei il proprietario. Mi dispiace. Pietro. Il proprietario…”, mi suona come se stessi titolando un imbecille, ma poi lo tocco indietro e mi dimentico di cura. Con la scusa di dargli una pacca sulle spalle, gli accarezzo un bicipiete e lui mi guarda male. “E’ sicura di stare bene, signora?”. Il suo braccio è liscio e duro, i muscoli hanno contrazioni leggere sotto il mio tocco. “Beh, credo che tu stia toccando il posto sbagliato allora Carolina, “, dice mentre sfrega un dito ruvido sul mio labbro inferiore. “Penso che sia necessario toccare il mio cazzo. Non credi?”. Lui ride e mi ritrovo a ridere con lui perché è esattamente quello che voglio toccare. Così faccio. Una mano appoggiata sul suo pacco duro, coperto dal tessuto del jeans che mi impedisce di toccare bene ciò che sta sotto, il cazzo duro di Pietro. “Ho pensato a te ieri sera, Carolina”, dice, mentre le mie dita giocano lungo i bottoni della patta. “Mi sono fatto una sega”, mi dice, probabilmente mentendo. Ma va bene così, non è vero? “L’ho fatto, ma tu sicuramente non mi credi”. Lui mette i suoi appunti sul tavolo e gli infilo le mani tra i capelli. “No. Tu non mi credi. Ma l’ho fatto. Ed ho pensato a te”. Apro la bocca per rispondergli ma non riesco a parlare, la sua lingua è dentro la mia bocca e le sue labbra, premono contro le mie. Mi spingo contro di lui, e mi piace la sensazione dei miei capezzoli chesfregano attraverso la mia camicetta contro il suo petto duro e che sembra fatto di legno o di marmo o da blocchi di cemento. Lui è troppo duro per essere solo carne e sangue. Mi chiede se mi sono sditalinata la figa pensando a lui. “No non l’ho fatto.” Lui può sospettare che io stia mentendo per il mio modo di strusciare il mio bacino contro di lui. Il suo cazzo è duro e lungo e devo fingere resistenza come fossi una ragazza seria. Quello che voglio fare è farti godere con la mia bocca fino a quando non te lo vorrò prendere in mano, e poi in bocca. “Allora facciamolo”, dice. Il mio cuore salta, i miei occhi si spalancano e mi fermo. “Che cosa?” “Qualunque cosa tu stia pensando. Falla. “Le tue labbra sono incollate alle mie e non riesco a respirare. L’aria è finita. Sento un fuoco dentro ed ho voglia di godere e farti godere. “Va tutto bene. Stai facendo la cosa giusta. Quell’albero potrebbe uccidere qualcuno. Ora torniamo a quello che stavi pensando. Facciamolo. “Le sue dita corrono lungo la cucitura del mio sesso attraverso i pantaloni. “Hai bisogno di inginocchiarti e mangiare la mia bella figa pelosetta? “Lui dice di si nel mio orecchio e lo sento pazzo di desiderio quando dico la parola figa. “No. Non che”. “Non ti piacerebbe?” Mi sto spogliando i pantaloni e mi agito come una danzatrice del ventre per aiutarmi. Il mio cervello sta andando in tilt totale. Lui sembra poco convinto. “Io lo farei. Lo vorrei. Ma non è quello a cui stavo pensando”. Ora i miei pantaloni sono all’altezza dei miei fianchi e il mio culo è nudo e le sue dita scivolano dentro di me. “Sei così bagnata. Non pensi che ho pensato a te ieri sera, quando ho assaggiato la tua lacrima, leccandola via dal mio dito. “A cosa stai pensando?”. “Questo”, dico mentre faccio cadere a terra i vestiti. Sento il suo respiro sorpreso e poi il suo sospiro. Gli ho aperto la patta e senza rendersene conto si ritrova mezzo nudo. Niente slip, solo il suo cazzo duro e l’odore di maschio caldo. “Questo è quello a cui stavo pensando”. Me lo metto in bocca. E faccio esattamente quello che ho pensato di fare il giorno prima, al momento di coricarsi, a colazione. Pietro strofina le dita tra i capelli e mi scopa la bocca con colpi anche lenti. Mi lamento perché mi piace questa sensazione. La sensazione di un uomo che ti tiene ferma la testa con le mani. La sensazione dei suoi fianchi che si muovono in avanti, così da poter guidare il suo cazzo nella mia gola. E’ la sensazione inebriante di essere schiava e di non potere avere controllo della situazione. E’ l’unica posizione in cui sento quel mix di potenza e debolezza. Singhiozzo un po’ sentendo il suono del mio albero mentre viene smembrato. “Shh. Va tutto bene. Ci pianterò un acero rosso. Un albero di ciliegio. Qualcosa che non cadrà”, ha grugnito, mentre continuava a scoparmi la bocca sempre più velocemente e faceva scorrere la lingua lungo la pelle morbida del suo cazzo duro. Lui mi sorprende spingendomi indietro mentre sistemava la sedia della sala da pranzo. Si siede e dopo avermi chiamato accanto a lui allarga le mie gambe. Lui vuole solo scopare. E questo mi piace. Chi non lo fa, dopo tutto? Lo so che faccio bene. Lui appoggia una mano sulla mia gamba e trova il mio clitoride. Accarezza con le dita il clitoride mentre mi masturba la fica, facendomi godere come una pazza. Ho battere la testa sul sedile di legno duro e difficilmente sento. “Sei pronta? “Le sue dita mi pizzicano i capezzoli e sta spingendo il suo cazzo dentro di me. Mi muovo avanti ed indietro per facilitare la penetrazione e per spingerlo in profondità. “Sono pronta. Hai bisogno di fottermi forte abbastanza per non farmi sentire i rumori della pianta che sta morendo e cadendo un pezzo per volta”, dico. Le mie parole sono tutti mescolate, il piacere della scopata non mi permette di parlare facilmente. Lui inizia a muoversi per scoparmi la figa a fondo. Tutta la stanza si muove appena la pianta cade a terra, come se ci fosse un terremoto, ed io vengo. Proprio così, perché le sue dita mi hanno lavorato proprio bene. Il mio corpo è racchiuso in un grande battito cardiaco e il mio seno sembra scaldare le sue mani mentre lo lavorano con forza e piacere. I suoi movimenti sono a scatti ora e mi sta tenendo così forte so che avrò impronte viola sulla pelle, l’indomani. Va bene così, perché lui mi sta scopando ad una profondità sufficiente per far sì che i nostri corpi siano uniti, petto contro petto. “Ho sognato questo”, mi disse, ansimando. La tua bocca su di me, che mi succhia il cazzo. E ho anche sognato che mi hai invitato a cena”. Sembra che la mia casa stia vibrando e so che il mio albero è appena caduto giù. Il cazzo di Pietro è sepolto in profondità dentro di me e lui sta grugnendo come un uomo delle caverne. “Vuoi venire a cena, Pietro?” Ansimo. Le mie dita stanno giocando con il mio clitoride e lui non mi risponde perchè sembra che stia per sborrare. Lo capisco perchè aumenta il ritmo e mi scopa sempre più in profondità. Sulla sua spinta finale, il suo orgasmo mi riempie, sento schizzi di fluido attraverso il mio corpo, che sembrano arrivarmi nello stomaco. Appoggia la sua testa calva contro il centro del mio corpo. Il calore della sua testa scalda la mia pelle. “Andiamo a finire con la burocrazia”, dice mentre il suo cazzo si ammoscia e continua a scoparmi fino a che il piacere di entrambi piano piano finisce e ci tranquilliziamo. Guardo i moduli. “Devo firmare qui?”. “Accanto la X”, risponde. “Vuoi venire a cena?” Chiedo, senza guardarlo, ma fingendo di leggere il piccolo paragrafo che dice che io non lo ritengo lui responsabile per la distruzione accidentale di beni nel mio giardino. Io firmo. “Vuoi davvero che mi fermi a cena?”, mi chiede mentre finisco di firmare e leggere svogliatamente i moduli che mi ha portato. Io sorrido e sfacciatamente gli chiedo a che ora vorrebbe essere da me. I miei occhi sono fissi sui suoi jeans mentre si riveste e noto che lui mi sta spiando. Lo voglio di nuovo. Voglio essere nuovamente scopata da lui. Decidiamo per un orario e questa volta non ci saranno alberi da tagliare, ma solo il suo albero da succhiare e la mia foresta dove piantarlo.

Altri racconti di questa categoria

Lascia un commento